venerdì 12 febbraio 2016

Antica Roma - Gli Orazi e i Curiazi

  Materiale di Storia per le Classi Quinte - Scuola Primaria


Jacques-Louis David - Il giuramento degli Orazi -
dipinto su tela (330x425 cm), 
1784 - Parigi, Musée du Louvre .

"Al tempo del terzo Re di Roma, Tulio Ostilio, i Romani erano in guerra con gli Albani.
Ora avvenne che nei due eserciti nemici si trovarono da ciascuna parte tre fratelli gemelli, eguali di forza e di età. Gli uni si chiamavano Orazi e gli altri Curiazi: e benché questo evento sia quasi il più famoso tra le cose antiche, tuttavia non si sa chiaramente quali furono i Romani e quali gli Albani. Ma i più credono che gli Orazi fossero i Romani; ed io mi accordo con costoro. I Re trattarono con questi fratelli, che ciascuno combattesse per il suo paese. Si convenne che dovesse spettare il predominio a quel popolo i guerrieri del quale avessero riportato vittoria in quel combattimento.
Dopo di che i tre Orazi e i tre Curiazi impugnarono le armi. Ognuno dei due eserciti cercava di animare i propri campioni, dando loro: «Gli Dei nostri, la patria, i genitori, tutto è ora affidato alle vostre armi, al vostro valore». Incitati da queste grida, i combattenti avanzavano fieri nello spazio che divideva i due eserciti.
Le trombe suonarono: i sei giovani mossero gli uni contro gì altri, con le armi in resta, come usano fare gli eserciti schierati per la battaglia, preoccupati non per il proprio pericolo, ma per il pensiero che da essi dipendeva la sorte della loro patria.
Al primo cozzo, appena si videro lampeggiare le spade sguainati gli spettatori, presi da un'ansia terribile, stavano col fiato sospeso! in gran silenzio. Poi, mentre l'attenzione generale era attratta non più soltanto dai movimenti dei combattenti e dall'incrociarsi confusi dei dardi e delle spade, ma anche dalle ferite e dal sangue, due dei Romani caddero morti l'uno sull'altro, dopo però che tutti e tre gli Albani erano stati feriti. Nel vederli cadere l'esercito albano mandò grida di gioia, mentre le legioni romane, perduta ogni speranza, erano trepidanti per la sorte di quel loro unico superstite guerriero attorniato dai tre Curiazi.
Per fortuna costui era affatto illeso, in modo che, se non poteva' tener testa da solo ai tre avversari, era però in condizioni vantaggiosa in confronto a ciascuno di loro. Perciò, per poterli affrontare ad uno ad uno, si mise a fuggire, pensando che ciascuno lo avrebbe inseguito con quella velocità che le sue ferite gli consentivano. E già) correndo si era allontanato un bel po' dal luogo dove si era svolta la lotta, quando, voltatosi indietro, vide che i tre nemici nell'inseguirlo s'erano discostati assai l'uno dall'altro: uno solo era poco lontano da lui. Ritornò contro questo con grande impeto, lo uccise, e poi si lanciò contro il secondo.
In tale momento furono invece i Romani che, con alte grida, incoraggiarono il proprio guerriero, il quale si affrettò a condurre a termine il secondo scontro; e, prima che il terzo dei Curiazi, di poco lontano potesse raggiungerlo, il secondo era già bell'e morto.
Ormai restavano uno degli Orazi contro uno dei Curiazi: ma l’uno illeso e rianimato dalla doppia vittoria; l'altro ferito, sfinito di fori avvilito dall'uccisione dei due fratelli. Non ci fu un vero combattimento. Il Romano con tono d'esultanza: «Ho ucciso » esclamò «due fratelli; ora ucciderò il terzo, per modo che Roma comandi su Alba». E al nemico che a stento reggeva le armi, infisse la spada nella gola, in mezzo alle entusiastiche acclamazioni dei suoi concittadini."             


Da T. LIVIO

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